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Quando le emozioni diventano cibo

By BLU 7 anni agoNo Comments
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Quando le emozioni diventano cibo

 Come riconoscere la fame emotiva

La fame emotiva (Emozional Eating), detta anche più comunemente fame nervosa, è uno dei principali fattori del fallimento di una dieta. Essa si riscontra sia in persone in sovrappeso che in persone normopeso. Nelle prime diventa un ostacolo al raggiungimento del peso desiderato spingendo, il più delle volte, all’abbandono della dieta. Nelle seconde può intervenire comportando il salto dei pasti o la loro riduzione, modalità disfunzionali sia per il mantenimento del peso corporeo che per la tutela della propria salute psico-fisica. In entrambi i casi l’utilizzo del cibo è legato alle emozioni che si provano inconsapevolmente, che non si riesce ad esprimere e per questo vengono “ingurgitate”. Diversi studi dimostrano che in queste persone sono presenti problemi di bassa tolleranza alle emozioni, difficoltà a riconoscere e gestire in modo adeguato alcuni stati emotivi (es. la rabbia), una scarsa autostima e una scarsa percezione del proprio corpo.

Tra le persone che mangiano in modo emotivo si riscontrano quelle consapevoli ma che non riescono a cambiare la loro modalità di gestire le emozioni e quelle non consapevoli che attribuiscono la difficoltà di alimentarsi in modo corretto a fattori esterni più che a se stessi e alla loro capacità di gestire le emozioni.

 

Ma cos’ è la fame emotiva?

La fame emotiva, così come viene descritta da alcuni pazienti, è “quella morsa che arriva allo stomaco, quel buco nero che si apre all’improvviso, quella voglia smisurata che si avverte nella bocca, nella gola” che spinge inconsapevolmente verso il frigorifero, le dispense o addirittura ad andare al supermercato, per soddisfare il bisogno impellente di cibo.

Diversamente dalla fame fisica, che sopraggiunge quando l’organismo ha esaurito i nutrienti e le energie necessarie per vivere, quella emotiva arriva all’improvviso spingendo a consumare, a volte anche in modo vorace, il pacco di biscotti, il barattolo di nutella, la vaschetta di gelato, deve essere soddisfatta nell’immediato e non è accompagnata da un senso di sazietà. Infatti anche dopo aver raggiunto un senso di pienezza fisica la fame emotiva non viene percepita come soddisfatta e per di più alimenta sentimenti di colpa e vergogna. Insomma essa avviene sull’onda delle emozioni e non per la soddisfazione di un bisogno fisiologico. In queste situazioni il nostro organismo diventa un contenitore da riempire e la sensazione è che non si riesce a riempirlo completamente e a sentirsi appagati e/o soddisfatti. Il cibo diventa una forma di comfort che consola, conforta, che ricorda momenti del passato e aiuta momentaneamente a gestire situazioni difficili.

Perché sopraggiunge?

La molla della fame emotiva scatta in modo inconsapevole sia per banali seccature quotidiane sia per stati di ansia dettati da fattori diversi preoccupazioni, insoddisfazioni, solitudine, inadeguatezza, noia, rabbia, tristezza. Spesso capita di aver avuto un litigio con il partner o una frustrazione a lavoro o semplicemente si è in un momento di forte stress che impedisce di cogliere esattamente quello che accade e cosa si prova e ciò viene modulato attraverso il cibo.

Inoltre il mangiare emotivo è legato a modalità apprese di gestire i propri stati interiori e affonda le sue radici nelle prime relazioni di attaccamento. Il cibo infatti veicola relazioni, significati ed emozioni. Sin dalla nascita per crescere e svilupparsi si ha bisogno di essere nutriti sia fisicamente sia affettivamente. Nel rapporto madre bambino la funzione nutritiva (allattamento) e la funzione affettiva (coccolare, accarezzare, tener in braccio) dovrebbero coincidere e anche se ciò può non accadere, si cresce associando cibo e calore, cibo e affettività.

Nel corso dello sviluppo accade inoltre che i modelli educativi investono il cibo di un valore consolatorio, riparatorio e compensatorio. Pensiamo a quando da piccoli ci veniva data una caramella o un biscotto in situazioni di rabbia o tristezza o a quando si era premiati per aver avuto comportamenti adeguati. Anche da un punto di vista culturale il cibo viene usato per festeggiare momenti importanti della vita (un matrimonio, un traguardo) sostenere momenti di lutto (in alcune regioni si usa donare un pasto consolatorio a chi ha avuto un lutto) socializzare e stare insieme (si va a pranzo o/a  cena per un incontro tra colleghi o tra amici). La componente emotiva è quindi sotto più aspetti fortemente associata al cibo.

Tale associazione non è di per sé negativa lo diventa quando la confusione tra cibo e sentimenti non arriva alla coscienza quando cioè non ne siamo consapevoli oppure quando pur essendone consapevoli non sappiamo come intervenire per interromperla.

 

Come intervenire?

Il primo passo per interrompere la fame emotiva è la consapevolezza.

Come prima cosa bisogna apprendere a distinguere la fame fisica da quella emotiva.

In tal senso può essere utile: chiedersi “sto mangiando per un reale bisogno fisico o per uno stato d’ansia, un abbassamento dell’umore?” e tenere un diario dove annotare cosa e quando si mangia, quali eventi abbiamo vissuto, cosa abbiamo provato e con chi ci trovavamo. È utile segnare il cosa si prova prima di divorare un cibo e cosa si prova dopo averlo fatto. Ciò può aiutarci a rintracciare i motivi che spingono verso il cibo, le emozioni che si provano e i bisogni che si tenta di soddisfare.

È importante inoltre riflettere sui significati che il cibo riveste, cosa ha rappresentato nella nostra storia e cosa rappresenta nei legami che viviamo. Se il cibo viene utilizzato per compensare o riparare stati emotivi intollerabili allora si può cercare di individuare altre azioni che si possono mettere in atto per gestire l’ansia e l’umore.

Le strategie proposte possono, tuttavia, non portare al cambiamento desiderato e in tal caso può essere utile rivolgersi ad un team di professionisti (psicologo e nutrizionista) che si farà carico della persona considerando sia gli aspetti fisici che quelli emotivi e psicologici e la sosterrà nel raggiungimento dell’obiettivo desiderato (riorganizzazione alimentare, normalizzazione/regolarizzazione di peso, benessere psico-fisico).

Lascia al cibo la sua funzione nutritiva e fisiologica e recupera la dimensione sociale senza confonderla con quella emotiva”.

Dott.ssa Isabella Clemente

 

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