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  • Chiudete gli occhi e immaginate il cielo blu, respirate profondamente.
     

  • Sentirete il battito del vostro cuore
    che si regolarizza,
    il respiro sarà tranquillo
    e potrete provare un senso di benessere.

  •  Il blu è considerato da sempre il colore della calma e della tranquillità. Questa ragione mi ha portata ad immaginare un posto BLU dove le persone si potessero sentire accolte, rassicurate, sostenute.

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Centro BLU

CENTRO MULTIDISCIPLINARE PER LA PROMOZIONE DELLA SALUTE

Chiudete gli occhi e immaginate il cielo blu, respirate profondamente. Sentirete il battito del vostro cuore che si regolarizza, il respiro sarà tranquillo e potrete provare un senso di benessere. Il blu è considerato da sempre il colore della calma e della tranquillità…

Perché Centro BLU?

Per diventare un adulto sano e felice è necessario coltivare il benessere sin da piccoli: Centro BLU è il primo centro multidisciplinare con sede a Torino e Bari orientato al benessere e alla promozione della salute di tutta la famiglia: ci prenderemo cura di te con l’ausilio della professionalità di una équipe altamente qualificata composta da psicologi, psicoterapeuti, logopedisti, nutrizionisti, educatori, neuropsichiatri e psicomotricisti. I professionisti di C-BLU lavorano in sintonia per ideare percorsi personalizzati per la ricerca del tuo equilibrio psicofisico, della tua famiglia e lo sviluppo armonico dei tuoi bambini.
Da Centro BLU ti sentirai accolto, rassicurato, sostenuto. Scopri di più…

METODO DI STUDIO: AD OGNUNO IL SUO

22 Febbraio 2022
Quali premesse? Quando parliamo di Metodo di Studio è bene stabilire innanzitutto che non esistono strategie e suggerimenti validi per qualsiasi studente; ma durante il trattamento è necessario individuare quali risultino più funzionali, a seconda dell’età, caratteristiche personali, risorse e difficoltà. Inoltre è importante stabilire una buona relazione operatore-paziente-famiglia, basata su fiducia, motivazione, collaborazione e impegno. Quali sono le fasi del processo? Possono essere raggruppate in 4 macro-aree: l’analisi iniziale, dove viene stilato il profilo di funzionamento del paziente e analizzati il contesto familiare, sociale e scolastico di provenienza; la partecipazione attiva durante le lezioni, che ha a che fare con l’ascolto attivo delle lezioni, prendere appunti e interagire con il docente; la pianificazione che comprende la preparazione dei materiali necessari durante le lezioni e prosegue con l’organizzazione del tempo dello studio pomeridiano; per ultimo l’apprendimento, quindi lo studio, dall’analisi del testo alla creazione di strumenti compensativi come ad esempio le mappe.  Fase uno: Analisi iniziale. Prima di iniziare è necessario stilare il Profilo di Funzionamento del paziente con la partecipazione di tutta l’equipe multidisciplinare, per avere una visione globale e stabilire  obiettivi di trattamento adeguati, in termini di efficacia ed efficienza. Vengono analizzati poi i contesti di provenienza: famiglia, scuola, società (amici-gruppo dei pari) individuando risorse e criticità. Fase due: Partecipazione. L’ascolto attivo delle lezioni rappresenta la prima fase dell’apprendimento e gli appunti ne costituiscono la traccia scritta; questa operazione richiede alcune competenze, quali ad esempio saper cosa scrivere e come scriverlo, o valutare in modo consapevole l’utilizzo di uno strumento adeguato (penna/matita o tablet/pc), che necessitano un tempo di allenamento e sperimentazione. Fase tre: Pianificazione.  La percezione e la gestione del tempo possono risultare difficoltose: quanto è mezz’ora? Cosa vuol dire fare i compiti entro le 5? E’ bene creare delle buone prassi e farsi supportare da dispositivi digitali (es. agende elettroniche) o strumenti cartacei (es. planner personalizzabili). Fase quattro: Apprendimento. Prima di tutto non sottovalutare Dove si studia: il luogo deve essere confortevole e d’aiuto al processo creativo e di apprendimento; non meno importante è il Come: luci, suoni, profumi e tutto ciò che è fonte di stimolo per i 5 sensi può rappresentare un aiuto o un ostacolo. Vediamo ora i 4 passaggi principali: lettura, in autonomia o con il supporto della versione audio; il numero di volte deve essere equilibrato (come il Quanto-Basta dei cuochi) senza tralasciare la lettura delle immagini (eh, sì, anche le immagini vanno lette!), l’introduzione, le note. Si passa  all’analisi del testo, sottolineando i concetti più importanti ed evidenziando le parole chiave. Se qualche informazione non è chiara, è bene approfondire la comprensione, utilizzando anche altre fonti o canali comunicativi (video, spiegazioni di altri docenti, immagini). Per facilitare la rielaborazione e la memorizzazione di quanto studiato, creare una mappa concettuale, mentale, o un formulario, o un glossario, meglio se arricchito da immagini e disegni. Possono essere creati su carta oppure in formato digitale, con l’aiuto di applicazioni o software adatti allo scopo. Bibliografia Come leggere la dislessia e i DSA, G.

Brutta scrittura: pigrizia o disgrafia?

1 Gennaio 2022
Nell’ambito dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento, la disgrafia appare come il meno conosciuto, anche se è particolarmente evidente anche a chi non conosce i DSA. Per definizione, la disgrafia è un disturbo specifico della scrittura nella riproduzione di segni alfabetici e numerici: si tratta per cui di una brutta scrittura, che si esplicita sia in italiano che in matematica. La disgrafia può essere associata ad altri disturbi dell’apprendimento, così come può essere l’unico presente in un bambino senza altre difficoltà; l’aspetto peculiare di questa problematica è che, a differenza degli altri disturbi specifici, ha una componente motoria molto importante. La scrittura, infatti, è una prassia, ovvero un azione su un oggetto, che necessita di tantissimi prerequisiti legati ad aspetti motori, oltre a quelli linguistici e cognitivi. Tra questi ci sono: Competenza posturale: per scrivere in maniera adeguata devo riuscire a mantenere una postura a lungo, senza che mi provochi fastidio o dolore. Motricità fine: per compiere un gesto così piccolo e preciso con uno strumento devo essere in grado di gestire i movimenti della mano. Oculomotricità e coordinazione occhio-mano: i miei occhi devono essere in grado di muoversi bene e al passo con la mia mano. Lateralità e organizzazione spaziale: la gestione dello spazio-foglio richiede che io sia in grado di trovare i punti di riferimento all’interno di esso. Organizzazione temporale: come in tutte le prassie complesse c’è una sequenza di azioni da portare a termine per avere un risultato; la scrittura, inoltre, è caratterizzato da un ritmo, che deve essere il più possibile regolare. Un ritardo nello sviluppo di queste competenze comporta una difficoltà nella scrittura. Non dimentichiamoci, infatti, che i bambini prima di parlare si muovono: l’apprendimento delle sequenze, delle leggi della fisica che regolano lo spazio e il tempo, avvengono tramite il movimento, ed è solo dopo che a questi concetti viene dato un nome e vengono organizzati nelle strutture cognitive. Un gesto grafomotorio non ben organizzato può quindi compromettere le abilità di scrittura di un bambino senza altre difficoltà. Molto rilevante nella disgrafia è la possibilità che sia derivata da un disturbo più generale della coordinazione, che va a rendere deficitario anche l’atto grafomotorio. Va inoltre tenuto in considerazione che la disgrafia, essendo un problema motorio, ha ripercussioni non solo sulla scrittura, ma anche nel disegno, nella geometria, nel calcolo in colonna, soprattutto se associato a difficoltà visuo-spaziali, frequenti nei bambini con difficoltà di apprendimento. Come si individua un bambino disgrafico? Ecco i campanelli d’allarme: Brutta scrittura, faticosa da leggere (in particolare in corsivo), con scarso rispetto delle righe e dei margini. Presenza di dolore durante la scrittura, dato dalla postura, da una brutta impugnatura e/o da una regolazione tonica non adeguata: quando un bambino ha male c’è sicuramente qualcosa da correggere. Una scrittura molto bella ma lenta. Quello che manca al bambino disgrafico è l’automatizzazione del gesto grafomotorio: scrivere bene comporta enorme impegno e fatica, per cui risulta lento, e quando è ormai stanco la scrittura peggiorerà. In generale l’affaticabilità è un problema importante: per compensare

Quando le relazioni diventano prevaricanti: caratteristiche del bullismo e del cyberbullismo

13 Novembre 2021
Quando le relazioni diventano prevaricanti: caratteristiche del  Bullismo e del Cyberbullismo   Le interazioni tra coetanei possono assumere la forma di relazioni prevaricanti. Tale forma può prendere il nome di bullismo o cyberbullismo. Il bullismo è un comportamento aggressivo ripetitivo verso chi non è in grado di difendersi. Consiste, infatti, in comportamenti aggressivi attuati in modo regolare verso una persona incapace di difendersi. Il bullismo è un fenomeno complesso che di solito coinvolge persone della stessa scuola o gruppo. Caratteristiche peculiari del bullismo sono: ·         Intenzionalità un episodio può essere connotato come bullismo quando l’attacco è mirato a infliggere un danno fisico o psicologico ·         Ripetitività gli attacchi si ripetono nel tempo ·         Divario di potere tra il prevaricatore e la vittima si crea uno squilibrio di potere psicologico, fisico o sociale Nel bullismo si distinguono due ruoli principali: il bullo, colui che agisce comportamenti violenti fisicamente e psicologicamente, la vittima colei che subisce tali atteggiamenti. Il bullo può manifestare aggressioni fisiche, verbali (minacce, prese in giro), strumentali (furti, danneggiamenti estorsioni), sociali (diffusione di calunnie, isolamento ed esclusione, divulgazione di segreti). Accanto ai ruoli principali si riscontrano una serie di ruoli secondari quali: aiutante del bullo, un compagno che partecipa attivamente alla prepotenza con una posizione inferiore, sostenitore del bullo colui che approva esplicitamente le prevaricazioni e tende a rinforzarle, difensore della vittima colui che supporta il compagno prevaricato o a livello emotivo, consolandolo, o a livello comportamentale difendendolo e/o richiamando l’attenzione dell’adulto, esterno (bystander) un compagno che pur essendo a conoscenza delle prepotenze avvenute, non si coinvolge direttamente negli episodi di prevaricazione e con il suo comportamento inattivo favorisce il diffondersi delle prepotenze nel gruppo. Il fenomeno del bullismo ha assunto oggi una nuova forma pur mantenendo lo stesso scopo. Si tratta del Cyberbullismo un  comportamento aggressivo e intenzionale, verso una persona ritenuta più debole, mediante strumenti tecnologici. Questi ultimi creano una distanza fisica e mentale che riduce l’attivazione empatica nel prevaricatore. Caratteristiche del cyberbullismo sono: ·         Coinvolgimento delle persone di tutto il mondo ·         Possibilità di agire 24 ore su 24 ·         Possibilità di diventare cyberbullo anche per chi ha un  basso potere sociale Diversamente dal bullo il cyberbullo non ha bisogno di rendersi visibile e utilizza la percezione di invisibilità. Elemento pericoloso del cyberbullismo è la disinibizione che contribuisce a rendere le comunicazioni on line molto violente, infatti i cyberbulli tendono a fare ciò che nella vita reale non farebbero. Il materiale cyberbullistico può essere visto e diffuso tramite internet perdendone il controllo. Il cyber bullismo può manifestarsi sottoforma di messaggi elettronici violenti e volgari per stimolare battaglie verbali on line (Flaming); messaggi offensivi ripetuti nel tempo attraverso messaggi e- mail, telefonate (Molestie), danneggiare la reputazione attraverso lo sparlare mediante e-mail, messaggistica istantanea al fine di (Denigrazione), rendere pubbliche confidenze di un coetaneo (spontanee o estorte con l’inganno) oppure diffondere immagini riservate e intime (Outing o trickery), aggressione di un coetaneo e riprese della stessa per la successiva pubblicazione on line (Happy slapping), esclusione di un coetaneo da

Mio figlio è sempre in movimento! L’importanza dei giochi motori

14 Maggio 2020
“Mio figlio è sempre in movimento! Anche se facciamo una passeggiata lo vedi salire su un muretto e poi di colpo saltar giù, raggiungere di corsa una panchina, camminare all’indietro, saltellare”. La parole che avete appena letto, sicuramente, se siete genitori, vi sembreranno familiari se non addirittura proprio le vostre! Più volte ci si lamenta della vivacità dei propri figli e spesso la si confonde anche con problematiche dello sviluppo come l’iperattività. Perciò è utile, per il genitore, conoscere quali sono i comportamenti e le modalità di gioco dei bambini che rientrano in un profilo di normalità. Fin dai primi mesi di vita i bambini fanno giochi di movimento associati a esperienze cognitive e sociali oltre che meramente fisiche: osservano, toccano, esplorano, si costruiscono mappe mentali di riferimento che li aiutano a riconoscere gli spazi in cui vivono, a progettare azioni per raggiungere degli oggetti desiderati, operano un transfert da una competenza motoria ad un’altra. Inoltre imparano ad esprimersi, a comunicare e a posizionarsi nel mondo dei coetanei. Come i giochi simbolici (ad esempio: “giocare a fare la maestra”) anche i giochi motori hanno un ruolo importante nel preparare il bambino ad entrare nel contesto sociale e ne influenzano la sua identità. Nel momento in cui i bambini giocano insieme in modo spontaneo e non strutturato da un adulto, cercano di mostrare all’altro la propria identità attraverso la propria postura, movimenti, gesti. Questa “identità del corpo” può essere confermata dal gruppo dei pari oppure può essere messa in crisi. Impegnato a costruire l’immagine di sè il bambino ben presto comprende l’importanza che ha il mostrarsi agli altri in un certo modo, attraverso movimenti, gesti e abilità. Per questa ragione i bambini si divertono a fare giochi che si basano sull’alterazione di una qualche forma di equilibrio: si pensi alla giostra, ai salti, agli spintono, agli sgambetti. In tutte queste attività c’è senz’altro il piacere del movimento per il movimento ma c’è anche l’esigenza di posizionarsi rispetto ai compagni mostrando di padroneggiare una serie di abilità motorie. In questa categoria di giochi rientrano anche quelli un pò più turbolenti in cui i bambini si inseguono, lottano o si colpiscono. Questi giochi possono essere considerati manifestazioni di aggressività ma in realtà sono solo imitazioni di comportamenti aggressivi. I bambini, infatti, usano espressioni come “giochiamo alla lotta” o “facciamo finta…” con cui rivelano la loro intenzione di divertirsi e non di far del male all’altro. Grazie a questi giochi i bambini sperimentano la propria forza e capiscono fin dove ci si può spingere senza creare danno ne a sè stessi e nè agli altri. il gioco con il gruppo dei pari insegna al bambino la reciprocità, la sollecitudine, la cooperazione e, inoltre, lo aiuta ad assumersi la responsabilità dei propri comportamenti. Per queste ragioni è giusto considerare che un bambino che si muove vivacemente, esplora l’ambiente, sperimenta il proprio corpo nello spazio è un bambino che attraverso il gioco impara a vivere.

Il lutto come esperienza trasformativa: affrontare versus trasformare

20 Aprile 2020
Il lutto come esperienza trasformativa Affrontare versus trasformare   La morte come la nascita fa parte della vita  Camminare consiste sia nell’alzare il piede sia nel posarlo. Tagore Uccelli migranti Il lutto è un’esperienza che appartiene all’esistenza e che l’individuo è obbligato a vivere nell’arco della vita. Sin dalla nascita andiamo incontro ad innumerevoli separazioni (pensiamo…al momento del parto, al passaggio dall’infanzia all’adolescenza, alla fine di un corso di studi, al divorzio, al pensionamento, o ancora alla perdita di una persona cara), alle quali è legato un sentimento doloroso che connotiamo come lutto. “Il lutto è uno stato psicologico conseguente alla perdita di un oggetto significativo, che ha fatto parte integrante dell’esistenza” (Galimberti). Di seguito mi soffermerò sul lutto collegato alla perdita di una persona cara e alla sua elaborazione. Come esseri umani si è spinti inconsciamente a ritenere di essere immortali, la morte è intollerabile per l’inconscio e quindi si è portati a rinnegarla. Si vive o forse spesso sopravvive senza pensare che “la morte appartiene alla vita e la vita appartiene alla morte”[1]. Ne riscopriamo la presenza solo quando siamo costretti a confrontarci con la perdita di chi amiamo, un’esperienza devastante e dolorosa sia emotivamente che fisicamente. Dal punto di vista psicologico quando si subisce un lutto (sottolineo la parola subire in quanto si tratta di una situazione, mi riferisco alla perdita di una persona, che non si può scegliere, e che accade al di là della nostra volontà) si manifestano una serie di reazioni emotive, cognitive, fisiche e comportamentali. Dal punto di vista emotivo e cognitivo si sperimentano sentimenti di tristezza, rabbia, ansia e sensi di colpa che possono unirsi a pensieri ricorrenti verso la persona perduta. Dal punto di vista comportamentale può attivarsi un ritiro sociale, la persona si chiude in sé alla ricerca della persona deceduta. Fisicamente si può manifestare perdita di appetito, disturbi del sonno e vari disturbi al sistema gastrointestinale, cardiocircolatorio e respiratorio. Questi aspetti sono fisiologicamente elaborati con il passare del tempo attraverso un processo di naturale elaborazione del lutto. Tale processo consiste in una serie di fasi che possono evolversi sia in modo lineare ma anche in modo alternato, ciò che è importante è attraversarle. “Una ferita si chiude e dentro non si vede”, canta E. Meta, ma “il come” questa ferita si chiude è fondamentale per la salute. Generalmente vengono individuate cinque fasi per elaborare un lutto:         Fase della negazione o del rifiuto caratterizzata dal rifiuto per la perdita. L’individuo non accetta di aver perduto la persona amata e manifesta un reazione di protesta. Ci si chiede: Ma è sicuro che non c’è più?       Fase della rabbia caratterizzata da emozioni forti come rabbia e paura che possono essere dirette verso sé o verso altri. Si ricerca un oggetto responsabile della perdita. In questa fase può attivarsi il rifiuto, la chiusura e il ritiro in sé. Ci si chiede: perche è capitato proprio a me?       Fase della contrattazione o del patteggiamento caratterizzata da un intenso desiderio di ricerca della