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ALLERGIE ED INTOLLERANZE ALIMENTARI

Le allergie e le intolleranze alimentari colpiscono sempre più persone, in qualsiasi fascia di età. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha stimato che le allergie rappresentano la sesta malattia più diffusa nel mondo. A soffrirne è infatti circa il 12% della popolazione. Nel solo campo delle allergie alimentari, nei Paesi più industrializzati i casi sono raddoppiati dal 1970 ad oggi. In Italia, in particolare, negli ultimi dieci anni le allergie e le intolleranze alimentari sono passate dal 3-4% al 7-8%. Le cause sono molteplici e non riguardano solo il tipo di alimentazione, fra i vari fattori si trovano anche dei comportamenti in apparenza legittimi ma che in certe situazioni possono essere controproducenti come l’eccesso d’igiene tipico delle società occidentali.

Allergia alimentare: patologia caratterizzata da una risposta immunologica anomala ed imponente nei confronti di specifiche proteine alimentari (allergeni), normalmente innocue, che vengono giudicate nocive (allergeni) dall’organismo ed “attaccate” da determinati anticorpi. Ad ogni pasto assumiamo migliaia di particelle diverse, ognuna è un potenziale allergene e nei soggetti predisposti può fungere da promotore di una reazione allergica. I principali allergeni sono proteine e glicoproteine. In condizioni fisiologiche la barriera gastrointestinale impedisce l’assorbimento degli antigeni alimentari grazie all’azione chimica dei succhi digestivi e all’azione meccanica della mucosa intestinale. La barriera immunologica infine blocca la penetrazione di eventuali sostanze estranee ingerite grazie alla produzione di anticorpi IgA specifici. In condizioni fisiologiche il sistema immunitario impara a riconoscere le varie molecole alimentari come innocue e sviluppa nei loro confronti la tolleranza. In alcuni soggetti a causa di un’anomala relazione tra il sistema immunitario intestinale e ad alcune sostanze alimentari verso le quali non si è instaurata o si è interrotta la tolleranza, si sviluppano allergie alimentari. Questi comportano il rilascio di sostanze biochimiche che provocano molteplici sintomi: prurito, lacrimazione, congestione nasale, orticaria, nausea, diarrea, asma. Le reazioni sono solitamente immediate e localizzate, in genere di entità relativamente lieve, ma in alcuni casi possono essere acute e letali configurandosi nel cosiddetto “shock anafilattico”. Ogni cibo è potenzialmente un allergene ma nel 90% dei casi, gli alimenti “pericolosi” sono: latte vaccino, uova, grano, arachidi, soia, pesce, crostacei, frutta, frutta secca, verdura, additivi.

Intolleranza alimentare: è invece una reazione avversa agli alimenti, ma di natura non immunologica e senza legami ereditari, dovuta alla difficoltà o all’impossibilità da parte del sistema digerente di metabolizzare (cioè trasformare chimicamente) quel cibo. I sintomi di un’intolleranza alimentare possono comparire anche a distanza di tempo dal consumo dell’alimento responsabile. Le manifestazioni cliniche sono simili, anche se nell’intolleranza si presentano in forma più lieve, e possono comprendere un gonfiore alle labbra o alla lingua, emicrania, prurito, arrossamenti, orticaria, fatica cronica, torpore mentale ecc. Esistono diverse tipologie di intolleranze alimentari. Quelle enzimatiche sono determinate dall’incapacità, per difetti congeniti, di metabolizzare alcune sostanze presenti nell’organismo. L’intolleranza enzimatica più frequente è quella al lattosio, una sostanza contenuta nel latte; la forma più comune di intolleranza al grano è la celiachia; un altro esempio di intolleranza dovuta alla carenza di un enzima è il favismo. Le intolleranze farmacologiche si manifestano in soggetti che hanno una reattività particolare a determinate molecole presenti in alcuni cibi. In alcuni casi, infine, la reazione può essere dovuta ad alcuni additivi aggiunti agli alimenti. Non è ancora chiaro se in questo caso si tratti di intolleranza o di allergia: non ci sono prove che la reazione abbia basi immunologiche, ma le manifestazioni sono così variabili che non si può escludere la possibilità di un’interazione tra meccanismi biochimici e meccanismi mediati immunologicamente. Sono state individuate le principali sostanze che possono provocare intolleranze farmacologiche (un gruppo di sostanze chiamate amine vasoattive e altre sostanze tra cui la caffeina e l’alcol etilico) e gli additivi. La diagnosi di intolleranza alimentare è una diagnosi per esclusione: è possibile solo dopo aver indagato ed escluso un’allergia alimentare. L’indagine utilizzata per accertarla consiste nell’individuare l’alimento sospetto, eliminarlo dalla dieta per 2-3 settimane e poi reintrodurlo per altre 2-3 settimane. Se i sintomi scompaiono durante il periodo in cui viene abolito l’alimento e si ripresentano nel momento in cui viene reintrodotto nella dieta si tratta di una reazione avversa al cibo. A questo punto si verifica, attraverso test diagnostici, se è coinvolto il sistema immunitario e se si tratta pertanto di un’allergia; in caso contrario il disturbo è molto probabilmente dovuto a un’intolleranza. Oggi esistono anche dei “test alternativi” (per esempio il test citotossico) per diagnosticare le intolleranze alimentari, ma sono privi di attendibilità scientifica e non hanno dimostrato efficacia clinica. Il trattamento per le intolleranze alimentari, come per le allergie, consiste nell’eliminare dalla dieta o consumare in piccole quantità gli alimenti che provocano la reazione.

Intolleranza al lattosio
La più comune intolleranza enzimatica è quella al lattosio, generalmente ereditaria e molto diffusa in Asia e in alcune regioni dell’America. In Europa, è più frequente nelle aree mediterranee, tra cui l’Italia e meno nel Nord. Il lattosio è lo zucchero contenuto nel latte. Prima di essere assorbito e utilizzato dall’organismo il lattosio deve essere scomposto nelle sue componenti, il glucosio e il galattosio. Per effettuare questa operazione è necessario un enzima chiamato lattasi. Se non vengono prodotte sufficienti quantità di lattasi una parte del lattosio può non essere digerito. Una scarsa produzione di lattasi non implica necessariamente l’intolleranza al lattosio. Pertanto, questa intolleranza può essere ridotta attraverso la graduale reintroduzione nella dieta dei cibi contenti lattosio. La sintomatologia è dose-dipendente: maggiore è la quantità di lattosio ingerita, più evidenti sono i sintomi, che possono includere flatulenza, diarrea, gonfiore e dolori addominali. In caso di diagnosi di intolleranza al lattosio non è sempre necessario eliminare i prodotti che lo contengono, a volte è possibile individuare la quantità di lattosio che può essere tollerata senza scatenare sintomi. Se l’intolleranza è lieve possibile controllare i sintomi bevendo il latte durante i pasti, sostituendo i prodotti freschi con quelli fermentati, bevendo latte povero di lattosio. Se l’intolleranza è grave è importante fare attenzione e leggere accuratamente le etichette degli alimenti: il lattosio, infatti, è utilizzato in molti cibi pronti.

Intolleranza al glutine – celiachia:
malattia digestiva di origine genetica. I celiaci reagiscono all’introduzione di alimenti ricchi di glutine, o meglio della proteina, gliadina, specifica del grano, dell’orzo e di altri cereali. Questa proteina sono contenute nella pasta, nel pane, nei biscotti e scatena una risposta immunitaria abnorme a livello intestinale, determinata dall’incapacità di digerirla e assorbirla. La risposta immunitaria genera una infiammazione cronica, che danneggia i tessuti dell’intestino tenue e porta alla scomparsa dei villi intestinali, importanti per l’assorbimento di altri nutrienti. Un celiaco quindi, oltre al danno diretto, subisce un consistente danno indiretto perchè non è in grado di assorbire sostanze nutritive e quindi rischia la malnutrizione. Dato il meccanismo con cui si sviluppa, la celiachia è quindi una malattia autoimmunitaria. Se non è diagnosticata tempestivamente e trattata in modo adeguato, la celiachia può avere conseguenze importanti, anche irreversibili. Se non trattata adeguatamente la celiachia può portare allo sviluppo di altre malattie, in particolare di: linfoma e adenocarcinoma, forme di cancro intestinale; osteoporosi, derivante da uno scarso assorbimento del calcio; aborto e malformazioni congenite, dato che nel corso di una gravidanza, l’apporto di sostanze nutritive è particolarmente cruciale per la buona salute del feto; bassa statura, soprattutto quando la celiachia si sviluppa nell’età infantile e quindi non permette un adeguato assorbimento dei nutrienti necessari alla crescita; convulsioni o attacchi epilettici, derivati da calcificazioni che si formano nel cervello in seguito a una carenza di acido folico per scarso assorbimento, ecc. I sintomi della celiachia possono essere anche molto diversi, e si sviluppano in fasi diverse della vita. In qualche caso i sintomi non si manifestano a livello del sistema digerente, ma sotto altre forme. Ad esempio nei bambini, l’irritabilità è un sintomo molto comune. Tra i sintomi della malattia si possono elencare dolori addominali ricorrenti, diarrea cronica, perdita di peso, feci chiare, anemia, produzione di gas, dolori alle ossa, cambiamenti comportamentali, crampi muscolari, stanchezza, crescita ritardata, dolori articolari, insensibilità agli arti, ulcere dolorose nella bocca, irritazioni della pelle (dermatiti herpetiformi), danneggiamento dello smalto e del colore dei denti, irregolarità dei cicli mestruali. Tra questi, l’anemia, la perdita di peso e il ritardo nella crescita sono il risultato di un insufficiente assorbimento di nutrienti, e quindi di una forma di malnutrizione. Una diagnosi sintomatologica della celiachia è difficile, perchè i sintomi sono troppo simili a quelli di altre malattie, tra le quali numerose malattie che interessano l’intestino ma anche forme di stanchezza cronica e di depressione. Inoltre, in una percentuale non piccola dei casi, la celiachia non sviluppa alcun sintomo evidente ma comporta comunque un danneggiamento dei tessuti intestinali. Una diagnosi più precisa della malattia quindi passa principalmente per due analisi mirate. L’analisi sierologica determina il livello di anticorpi specifici antigliadina, IgA e IgG, e di anticorpi anti-transglutaminasi (tTG), nel sangue prodotti in risposta alla presenza di glutine, percepito dall’organismo come sostanza estranea e pericolosa. Il test istologico invece consiste in una biopsia intestinale che permette di verificare il danneggiamento e l’atrofia dei villi intestinali. Nel caso di presenza della malattia all’interno di una famiglia, data la sua caratteristica trasmissione genetica, è opportuno effettuare uno screening degli anticorpi in tutti i parenti di primo grado del malato. L’unico trattamento possibile per la celiachia è una dieta appropriata, priva di glutine (gluten-free), che permette di ridurre ed eventualmente eliminare i sintomi e di ricostituire i tessuti intestinali. La capacità di ripresa e di recupero dei tessuti danneggiati, però, dipende anche da molti altri fattori, come ad esempio l’età in cui la malattia viene diagnosticata, o il grado di danneggiamento, o l’assunzione da parte dell’individuo di altri farmaci che possono interferire. Nella dieta gluten-free: bisogna eliminare tutti gli alimenti derivati da grano, orzo e potenzialmente altri cereali, quindi quasi tutti gli alimenti confezionati, dalle merendine alle torte, la pasta e il pane, la pizza. La carne, le verdure, il riso e il mais invece non contengono glutine e quindi possono entrare tranquillamente nella dieta del celiaco. Esistono ormai sul mercato diversi prodotti sostitutivi, che portano la specifica dicitura gluten-free, che permettono al celiaco di seguire comunque una dieta bilanciata. In alternativa o in combinazione, è possibile utilizzare farine e altri derivati delle patate, del riso, della soia o di altri legumi. Risulta importante leggere attentamente le etichette dei cibi ma anche dei farmaci in quanto il glutine viene utilizzato come additivo, conservante o aroma.